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Lago di Porta

Itinerari lucchesi
Lago di Porta
Cari Amici oggi andiamo a conoscere il lago di Porta situato tra Montignoso e Pietrasanta. Un semplice giro ad anello adatto a grandi e piccini (no passeggini perché secondo il periodo il sentiero non è pulito e diventa poco più grande di un viottolo) immerso nella natura.
N.B – Il giro è quasi completamente sotto il sole, quindi da evitare i mesi estivi
·         DOVE SI TROVA IL LAGO.
Da Marina di Carrara oltrepassare l’ospedale Pediatrico Apuano sull’Aurelia e continuare fino a oltrepassare la frazione di Capanne,  alla rotatoria continuare dritti mantenendo la ferrovia alla nostra destra. Passato lo sperone di monte (cava di ghiaia) dopo poco si trova alla nostra sinistra la torre Medicea e li troviamo sulla destra il cartello (dove il ponte della ferrovia) per l’accesso al lago.
·         IL LAGO
Un tempo il lago era collegato a quello di Massaciuccoli da aree palustri oggi scomparse ed era  conosciuto anche come il lago di Porta Beltrame. E’ alimentato dalla polla situata nei pressi della Torre Medicea, conosciuta anche con il nome Salto della Cerva. Stretto tra le Alpi Apuane e la fascia litoranea della Versilia, il Lago è stato per molti secoli un’area strategica per il controllo della costa e delle principali strade di collegamento tra Pietrasanta e Massa. L’area umida è circondata in gran parte da cannucce di palude, e attorno al lago si sviluppa un bosco di ontani, pioppi e salici.
Il percorso è un giro ad anello di 4 km sterrato su l’argine del lago e lambisce vari canali come la fossa Fiorentina, il Versilia e Montignoso. In questa zona umida protetta i più fortunati posso vedere l’airone Tarabuso un esemplare raro in tutta Europa e la farfalla Lycaena Dispar, anch’essa molto rara e in via d’estinzione. Nelle sue acque è facile vedere nuotare le nutrie assieme a numerose specie di uccelli acquatici come folaghe e germani a caccia di alborelle e piccoli cavedani. Nel periodo primaverile il lago diventa colorato a causa degli uccelli migratori che risalgano dall’Africa per la riproduzione, avvicinandosi piano alle canne si possono scorgere i colori Dell’Upupa, i mille colori del  Gruccione e le iridescenze azzurre del Martin Pescatore. Nelle acque più profonde vivono Lucci e Carpe mentre la zona umida è popolata da raganelle, tritoni, bisce d’acqua e rane. Il Lago è una delle più importanti aree, a livello italiano, per la sosta pre-migratoria autunnale per oltre circa cento di specie di uccelli residenti, migratori o presenti solo nel periodo riproduttivo. Una bella passeggiata che merita sicuramente una visita.
IL NESSIE DEL LAGO DI PORTA

La fine di Osvaldo
In pochi sono riusciti a vederlo, preferendo le profondità del lago, il mostro di rado si spinge con le sue fauci spalancate nelle acque chete della palude alla ricerca di cibo. Il suo primo avvistamento si perde nella notte dei tempi e bisogna risalire alla fine del Medioevo e precisamente all’agosto del1569. Quel giorno d’estate Il caldo era asfissiante e Osvaldo, uno degli operai che da giorni lavorava alla costruzione della torre medicea commissionata da Cosimo de' Medici, signore di Firenze, che doveva sorgere nei pressi di Porta Beltrame, era sfinito. Quel pomeriggio estivo il sole era stato implacabile e a fine giornata i suoi vestiti erano madidi di sudore, non sentiva più le braccia tanta era stata la fatica, lui era un semplice manovale e per giunta l'ultimo arrivato, sempre a lui toccava trasportare quei mattoni rossi così pesanti e impastare la malta. Dall'alto dell' impalcatura che circondava il manufatto intravedeva le acque chete e pescose del lago li adiacente: il lago di Porta, che lui conosceva bene. Spesso di notte sfidando la legge si recava a pescare di frodo, sapendo di rischiare molto ma carpe, tinche e cavedani erano il sostentamento necessario per arrotondare la paga e mantenere la sua vecchia madre ormai vedova, sua moglie e i tre figli. Ora quelle acque lo attraevano per la loro frescura e per il sollievo che potevano dargli. il richiamo era cosi forte che non appena la giornata di lavoro giunse al termine cercò un posticino appartato e ci si tuffò, per non riemergere più. La moglie non vedendolo tornare aspettò tutta la notte sveglia pensando che forse si era fermato alla taverna a bere con gli amici ma quando il sole fu alto nel cielo capì che era successo qualcosa e andò a cercarlo sul posto di lavoro. Subito gli amici che la sera prima l' avevano visto incamminarsi verso lo specchio d’acqua andarono a cercarlo, ma Osvaldo era come svanito nel nulla, di lui non c’era nessuna traccia. La notizia della sua scomparsa richiamò l’attenzione di molti pellegrini che transitavano lungo la via francigena, nel tratto tra Massa e Lucca, per raggiungere il Volto Santo a Lucca. Sapevano benissimo della pericolosità del luogo e si misero in allarme. Chissà, la sua sparizione poteva essere opera dei briganti che infestavano quei posti, ai tempi si sentivano storie terribili di viandanti e pellegrini assaliti e uccisi per pochi danari. Il fatto ebbe grande risonanza, se ne parlò per giorni e giorni ma del pover' uomo non si seppe più nulla, solo dopo alcuni giorni furono trovati una tunica, un paio di saldali di cuoio ormai consunti dall' uso e una cintura di iuta sistemati con cura sulla riva del lago , la vedova piangendo li riconobbe, erano del marito. Il povero Osvaldo era annegato nel lago, almeno così conclusero le autorità e nessuno fece caso al vecchio barcaiolo che da giorni balbettava " è tornato, poveri noi è tornato". Una leggenda racconta che da quel dì ogni anno nel luogo in cui accade la disgrazia fino al 1810 dalla polla che alimenta il lago zampillasse acqua rossa. Ovviamente quello strano fenomeno attirò per molti anni devoti e curiosi che andavano a genuflettersi ai bordi del lago e dopo aver intinto le dita nell'acqua si facevano il segno della croce e riprendendo il proprio cammino recitavano una preghiera per il povero ragazzo.
Duecento quarantuno anni dopo…
Nel 1810 la chiesa dedicata alla Madonna di Porta Beltrame adiacente la torretta medicea fu demolita per ampliare la strada. Nei lavori di demolizione fu rinvenuto, murato dietro la parete dell’altare, in un intercapedine tra un vecchio muro e uno più nuovo, un quadro datato 1569 raffigurante un levitano fuoriuscire dall'acqua con in bocca il corpo di un giovane. Il quadro assieme ai bassorilievi sacri fu trasferito alla Santissima Annunziata di Seravezza e lì suscitò l' interesse di chi si ricordava di quella strana leggenda, forse che quella tela anonima fosse la testimonianza silenziosa di un fatto realmente accaduto? Forse a volte il destino ci mette lo zampino e mesi dopo ebbi la mia risposta o forse no?

Seravezza agosto 2020
Al ritorno dal paese di Pruno mi fermai a Seravezza per un caffè e notai che la chiesa della Santissima Annunziata stranamente era aperta, oggi evento raro se non si svolgono funzioni religiose. Dopo aver sorseggiato la nera bevanda entrai nell’edifico sacro. L’interno era semibuio, i raggi del sole sopra le vetrate e i rosoni facevano risaltare i colori delle decorazioni, dal blu profondo al rosa opaco, dal verde al giallo. Mentre avanzavo tra le navate le flebili luci delle candele al mio passaggio ondeggiando riflettevano ombre sinistre sulle pareti affrescate. All’interno non c’era nessuno tranne un anziano che immobile con le braccia dietro la schiena osserva un quadro alla parete. Per tutto il tempo che rimasi all’interno per scattare fotografie l’uomo non si mosse mai da quel punto. Avanzai fino a raggiungerlo, lo salutai con un cenno del capo e al suo fianco mi misi ad osservare la tela. Visto il mio stupore nel vedere quella raffigurazione, l’anziano indicandomi con l’indice della mano sinistra un punto ben preciso della tela, con un filo di voce aggiunse: "una vecchia e triste storia quella che capitò al povero Osvaldo, guarda l’albero…" Guardando il quadro, e ascoltando le sue parole, non potei che chiedere spiegazioni. L’uomo con un gesto della mano mi invitò a seguirlo fuori, percorremmo la navata laterale di sinistra e notai che aveva una leggera zoppia. Giunti all’ingresso si voltò, si genuflesse e dopo aver fatto il segno della croce uscimmo. Adiacente l’edifico un panchina all’ombra di un paio di lecci ci sembrò il luogo ideale dove continuare la nostra chiacchierata . Erano le diciotto e trenta del tredici agosto, nella piccola cittadina a ridosso delle Apuane c’era poca gente, e il caldo si faceva sentire. Ora, fuori alla luce, potei osservare bene l’uomo senza nome. All’incirca avrà avuto ottanta primavere, basso e robusto, con un viso rotondo arrosato, i suoi pochi capelli grigio chiaro coronavano una zona del cranio completamente calva e rilucente. Elegante, impeccabile indossava un abito leggero verdolino con sotto una camicia bianca sbottonata al collo. Parlava con un accento toscano e il tono della sua voce era autorevole ma cortese e modesto nello stesso tempo. Di lui non so nulla, neppure il suo nome, dal suo interloquire e osservandogli le mani immaginai che fosse stato un medico oppure un avvocato o un notaio. Mi raccontò che era originario di Pietrasanta e che da ragazzo gli piaceva andare a pesca assieme ai coetanei al lago di Porta, e suo nonno tutte le volte che lo vedeva partire con canna e retino ripeteva: " State attenti a non fare la fine di Osvaldo". "Come tutti i ragazzi, che non ascoltano mai vecchi, anch’io non diedi mai peso a quella frase pronunciata da mio nonno, fino a quando un giorno di circa quindici anni fa  entrai in questa chiesa per l’ultimo saluto ad un caro amico che era passato a miglior vita, e in quella circostanza notai il quadro". Mentre continuava a raccontare estrasse dalla tasca dei calzoni due caramelle alla menta, me ne offrì una che ringraziandolo rifiutai, lui scartò la sua e la mise in bocca. "Potrai ben immaginare il mio stupore quando lo vidi" esclamò l’uomo senza nome. " Il giorno successivo, ritornai in chiesa per chiedere informazioni al parroco, il quale mi raccontò la storia che ti sto raccontato"… Diede un colpo di tosse e guardando l’ora si alzò," devo rincasare, mia moglie non vedendomi arrivare sarà in pensiero" mi disse. Un arrivederci, rinfilò la giacca che nel frattempo si era tolto e teneva sulle ginocchia e sparì al di là della piazza.
Caccia alla verità
Io, invece rimasi altri dieci minuti seduto a riflettere su quel quadro e sulla storia raccontata dall’uomo senza nome . Ero molto perplesso perché in realtà io quel albero l’avevo già visto, non ricordavo esattamente dove ma ero certo l’avrei ritrovato. Giunto a casa passai la scheda sd della digitale al Pc e focalizzai la mia attenzione sul quadro. Conoscendo bene il lago so che emergono dall’acqua cheta molti tronconi d’alberi morti, ma il quadro raffigurava un punto preciso nella palude. Presi una vecchia cartina e la confrontai con il mio scatto fatto in chiesa per cercare di capire il punto dal quale il pittore poteva aver osservato quello che aveva dipinto. Per alcuni giorni tornai al lago di Porta ma non trovai quello che cercavo. Passarono un paio di settimane ma non riuscivo a levarmi dalla testa questa storia misteriosa e la sensazione di essere vicino alla soluzione. Poi una mattina decisi di andare a fare qualche scatto alla fauna selvatica dove vado di solito e fu la scelta giusta. Dopo aver percorso il viottolo adiacente la fossa Fiorentina arrivai al piccolo ponticello posto sul bivio. A destra il sentiero conduce ai margini della palude dove c’è la postazione fotografica, mentre a sinistra un melmoso camminamento s’inoltra nel fitto bosco per raggiungere una specie di laguna morta. Nel silenzio assordante un cuculo, con il suo inconfondibile richiamo attirò la mia attenzione. Quel “parassita” di nidi altrui è una casella vuota nel mio album fotografico. Così ascoltando il suo richiamo m’inoltrai nel sentiero alla mia sinistra che conduce nella parte più oscura della palude. Passo dopo passo i miei stivali affondavano in quel acquitrino melmoso, avanzavo senza sapere dove mi avrebbe condotto quel cu-cu. Ogni tot metri poi mi fermavo e immobile, con i piedi affondati nel fango, scrutavo tra le fronde degli ontani e delle acacie per cercare di scovare quell’uccello che sentivo ma non vedevo. Da un angolo remoto e scuro il trillo di una timida cinciarella forse m’intimava di non proseguire oltre, chissà…oppure voleva soltanto salutarmi, avanzai ancora, tra il verde dei giunchi fuoriuscivano bellissimi gigli gialli, mi trovavo in un angolo incantato, fuori dal tempo. Girai dietro la piccola ansa acquitrinosa ed ebbi la sensazione di essere osservato, mi voltai più volte ma non c’era nessuno. Ero talmente immerso in quel angolo affascinate ma nello stesso tempo inquietante che non mi accorsi che il cuculo nel frattempo aveva smesso di cantare. Nel cielo grigio passò sopra la mia testa uno stormo di bianche Garzette, e la palude davanti a me ora diventava lago. Estrassi dalla tasca del giubbino lo smartphone e scorsi la galleria d’immagini fino al quadro e la vecchia mappa, poi alzai gli occhi e capii che ero arrivato nel punto giusto. Mentre scrutavo quel lembo di acqua cheta, alla ricerca di non so neppure io cosa, atterò un cavaliere d’Italia che con il lungo e fine becco si mise a rovistare nel fango alla ricerca di qualche preda. Scattai diverse immagini al trampoliere bianco, che si muoveva con grazia ed eleganza nonostante le lunghe fini zampe rosse che coloravano quell’angolo remoto e tetro della palude. Passarono i minuti ma non trovai nulla che mi confermasse fossi giunto dove il povero Osvaldo sparì per sempre. Così, sconsolato e deluso, facendo il solito percorso, ritornai all’auto. Alla sera, come di mia consuetudine dopo cena mi misi al pc a vedere le fotografie che avevo scatto, ed è li che nell’ingrandire una delle foto scattate al cavaliere d’Italia lo vidi. Nell’angolo più defilato e lontano della palude in un tronco a mezz’acqua la Sony aveva catturato il tronco con la faccia che urla, proprio quella dipinta nel quadro.
E allora? la leggenda non era leggenda ma verità?
Chissà...chissà quale è il confine tra fantasia e realtà....tra leggenda e verità?
Una cosa è certa: quello che rimane dell’albero è ancora la, il resto scopritelo voi.
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