Accademia belle arti
La città
Il castello medievale di Carrara, detto anche la Rocca o il palazzo del principe, risale al 1187, costruito come baluardo difensivo del feudo carrarese era ubicato al di fuori delle mura di cinta cittadine. Il nucleo settentrionale dell’edificio originario probabilmente risale ad un periodo anteriore al 1187 dato che la rocca fu concessa in feudo perpetuo oai marchesi Morello, Opizzo e Alberto Malaspina figli di Opizzo Malaspina del ramo dello spino fiorito. Sopra questa base più antica Guglielmo Malaspina operò alla ricostruzione della fortezza rendendola dapprima per uso difensivo della valle e poi residenziale e a suo tempo è stata anche la dimora del Principe di Fosdinovo. Nel corso dei secoli l’edifico ha avuto diverse ristrutturazioni ovviamente sposando le varie correnti edili. L’edificio ha una bella torretta merlata e lungo il perimetro delle sue mura troviamo i punti di accesso. Il portone medievale che tornò alla luce dopo i restauri quando fu abbattuta una piccola costruzione protesa in avanti utilizzata come prigione e lazzareto, nella parte alta della porta in ferro c’è inciso lo stemma dei Malaspina e l’altro ufficiale ( oggi ) ristrutturato danno su via Roma di fronte al palazzo del geologo Zaccagna, oggi sede della Fondazione Cassa di Risparmio di Carrara e uno su l’attuale piazza Mazzini, che per i carrarini è la piazza della biblioteca che sulla piazza ha il suo ingresso con la maestosa scalinata. L’accademia nasce il 26 settembre del 1769 e i primi sopraintendenti furono il marchese Francesco Pisani e il conte Carlo Del Medico Staffetti, come direttore il canonico don Giovanni Cybei. Al primo piano del castello troviamo la sala marmi nella quale è esposta una notevole campionatura di marmi bianchi e colorati ed è in questo locale che gli imprenditori di un tempo si riunivano per concludere i loro affari. Sempre al primo piano troviamo un bel cortile quattrocentesco, una struttura a logge nella quale, oltre a statue in marmo ed in gesso, troviamo l’originale edicola marmorea romana detta “i fantiscritti”. Anche la biblioteca comunale è situata al primo piano e comprende oltre 3000 volumi rivolti all’arte, alla storia e alla letteratura, mentre nel fondo antico sono presenti numerosi volumi risalenti al 1500. Il piano superiore decorato e ricco di stemmi nobiliari si raggiunge per mezzo di una bella scala in marmo bianco ed è preceduto da un piccolo cortile interno nel quale si trovano calchi e gessi degli studenti dell'Accademia di Belle Arti e di maestri del calibro di Canova, Bienaimè, Tacca, Tenarani e Bartolini. Di notevole pregio la sala di rappresentanza del principe, l’Aula Magna è arredata con dipinti, gessi, statue marmoree ed ha un soffitto a cassettoni colorati. Di notevole pregio anche le architetture delle finestre.
I primi cavatori adoravano le deità pagane ed ogni “canale”, per non dire cava aveva un suo patrono: Silvano proteggeva Gioia e il Polvaccio, tutrice di Fossacava era Artemide Luna e la Mens Bona vegliava sul lavoro delle cave di Colonnata, mentre Ercole Giove e Bacco erano venerati ai Fantiscritti.
Il masso di epoca romana è stato staccato dal canale marmifero cui dette il nome “Fantiscritti” e nel 1861 è stato collocato sotto il portico dell’Accademia in modo da preservarlo. Il nome del bassorilievo è di origine popolare: 'Fanti' che in dialetto significa ragazzi, in riferimento alla piccola statura delle tre figure incise. Giove, Ercole e Bacco. 'scritti' per i nomi dei visitatori che firmarono il masso nel quale era stata scolpita l'edicola, fra i quali Michelangelo, Gianbologna e Canova. Nelle foto si riesce ancora a leggere la loro firma.
Il masso di epoca romana è stato staccato dal canale marmifero cui dette il nome “Fantiscritti” e nel 1861 è stato collocato sotto il portico dell’Accademia in modo da preservarlo. Il nome del bassorilievo è di origine popolare: 'Fanti' che in dialetto significa ragazzi, in riferimento alla piccola statura delle tre figure incise. Giove, Ercole e Bacco. 'scritti' per i nomi dei visitatori che firmarono il masso nel quale era stata scolpita l'edicola, fra i quali Michelangelo, Gianbologna e Canova. Nelle foto si riesce ancora a leggere la loro firma.
La scala interna dell’Accademia realizzata in marmo bianco di Carrara in stile barocco, alla quale gli architetti del tempo hanno aggiunto grate in ferro in stile medioevale. Il risultato del connubio tra i due stili è veramente notevole e bello.
Nel cortiletto coperto dell’Accademia si trova la prestigiosa gipsoteca con statue e bassorilievi ancorati alle pareti. Qui oltre i calchi degli studenti troviamo gessi di grandi artisti del calibro di Canova, Bienaimè, Tacca, Tenarani e Bartolini.
Al primo piano dell’Accademia troviamo la biblioteca comunale alloggiata in due sale. Nella prima sala possenti tra colonne in marmo bianco sorreggono le volte del soffitto con i loro capitelli ricamati risalta il cavallino in marmo nero di Arturo Dazzi. In questo locale troviamo oltre 3000 volumi dei quali la maggior parte rivolti all’arte, alla storia ed alla letteratura. Nell’altra sala invece si trova il fondo antico e vi si respira un’aria affascinate e misteriosa. Qua sono conservati volumi dal 1500 in poi, magnificamente conservati ed illustrati. Sicuramente qua dentro ci sarà anche la tua pagina, basta cercarla.
La troviamo all’ultimo piano. È stata la sala di rappresentanza del Principe, in seguito divenuta l’Aula Magna dell'Accademia nella quale i rettori si ritrovavano per discutere le opere degli studenti. La stanza ha il soffitto a cassonetti, le pareti sono adornate con quadri e lungo il perimetro si trovano gessi e statue in marmo.
Crediti L’Accademia di Belle Arti di Carrara Cassa di Risparmio di Carrara
Tra realtà e fantasia
Sentimenti come l'avidità, o la sete di potere in alcune persone sono talmente forti da soffocarne altri come l'amore materno. E' quanto accaduto a Giulio I, marchese ereditario mancato. L'irruenza tipica dell'età, ma soprattutto l'avidità della propria madre, lo portarono ad effettuare scelte impopolari che irritarono i potenti del tempo. La sua sete di giustizia finì sul patibolo a soli 23 anni, a Milano il 18 maggio 1548.
Il giovane si alzò di scatto dal lurido pagliericcio, i pidocchi e le cimici gli davano il tormento, così andò a sedersi sul pavimento di pietra della cella, con la schiena appoggiata alla massiccia parete, con le ginocchia ripiegate fin quasi sotto il mento. La profonda oscurità della cella fu rotta dal tenue bagliore della luna, che cominciava a far capolino da una stretta finestrella protetta da una grossa inferriata, questa era una generosa concessione dovuta al suo rango. Giulio I Cybo Malaspina, si alzò, e andò sotto la finestrella come volesse rubare insieme a un poco d’aria pura, anche quei raggi d’argento, ma poi si risedette, e cominciò a ripensare alla sua triste vicenda. Era figlio di Ricciarda Malaspina, e Lorenzo Cybo, marchese di Massa, e conte di Ferentillo, egli era l’erede predestinato ad acquisire il Marchesato di Massa, che in attesa della sua maggiore età fu affidato a sua madre. E proprio questa scelta dopo pochi anni lo avrebbe perduto. Ricciarda era una donna avida e dispotica, e il figlio era considerato un ostacolo alla sua smisurata sete di potere. Il marito Lorenzo, era Capitano Generale di Santa Romana Chiesa dello Stato Pontificio, quindi era sempre assente e lasciava a lei l’amministrazione del piccolo marchesato di Massa e Carrara. Così quando Giulio arrivò alla maggiore età, il pensiero di lasciargli il potere non la sfiorò neppure, scatenando nel figlio una sorta di odio impotente nei suoi confronti. Un topolino si avvicinò esitante ai suoi stivali, egli lo allontanò con un calcio e si rituffò nei suoi pensieri. Poiché le vie legali non sortivano alcun effetto, il giovane marchese organizzò assieme a dei nobili a lui fedeli, una sorta di colpo di stato, aspettò che la madre si recasse a Roma presso il marito, per assaltare e prendere possesso delle Rocche di Carrara, Massa, e Lavenza. Lo scontro fu meno di una scaramuccia, in pratica i tre castelli si arresero senza combattere, vista l’identità degli assalitori, ma il suo trionfo fu breve. La madre si rivolse all’Imperatore Carlo V, cui era da sempre devota, e questi non faticò molto a convincere Giulio a farsi da parte. Ritornata al potere la vendetta della madre fu terribile, fece imprigionare i cospiratori amici del figlio, e in più fece abbattere le loro case, rinforzando invece la difese della Rocca di Carrara. La cella ripiombò nel buio totale, quando una nuvola oscurò la luna, poi a poco a poco, una nebbiolina leggera e impalpabile cominciò a entrare dalla finestrella facendo rabbrividire il giovane, coperto solo di una leggera camicia di cotone. Giulio, con un amaro sorriso, pensò che non avrebbe fatto in tempo a prendere qualche malanno, essendo questa la sua ultima notte, poi si rituffò nei suoi foschi ricordi. Vinto, ma non domo, Giulio sposò la giovanissima Peretta Doria, nipote del grande Ammiraglio genovese Andrea Doria, la madre, gli offrì di comprare il Marchesato di Massa, per 40.000 scudi d’oro, cifra iperbolica che lui non possedeva. Pensò così di chiederli in prestito, o come dote della nipote, al ricchissimo Ammiraglio genovese, che forse sobillato dalla madre rifiutò. L’alba cominciava a far scolorire il nero della notte, e una luce tenue e lattiginosa, tipica delle fredde mattinate milanesi, cominciava a filtrare dalla finestrella, il giovane marchese pensò che l’ora fatale si stava avvicinando, ma stranamente non aveva paura, come non ebbe alcun timore a organizzare quel maldestro tentativo di uccidere l’Ammiraglio Doria. Non seppe mai perché lo fece, forse la frustrazione dovuta alla negazione di una cosa che gli apparteneva di diritto, o forse la speranza che i Francesi, nemici degli Spagnoli e dell’Ammiraglio potessero aiutarlo nel suo desiderio di conquistare finalmente il Marchesato. I pesanti passi della guardia di ronda interruppero per un attimo i suoi pensieri, ma appena tornato il silenzio, egli riprese il filo dei suoi ricordi. L’Ammiraglio era troppo scaltro per non accorgersi di quel piano maldestro, e in pochissimo tempo, tutti i congiurato escluso lui furono catturati. Egli si rifugiò a Pontremoli, ma la madre colse l’opportunità insperata e lo consegnò agli Spagnoli, che lo portarono a Milano, e, dopo un processo farsa, lo condannarono a morte per decapitazione.
Il rumore metallico della chiave che girava nella grossa serratura interruppe i suoi pensieri, entrarono due armigeri, che alla luce di alcune lucerne, lo afferrarono per le braccia e lo rizzarono in piedi, poi mentre il carceriere con una forbice tagliava il colletto della camicia, gli legarono le mani dietro la schiena. Mentre s’incamminavano lungo un angusto corridoio rischiarato tenuamente dalla luce tremolante delle lucerne, ripensò a Carrara, alle sue bianche montagne, all’azzurro del mare, alle caccie che faceva con il suo falcone preferito, e tutto questo sarebbe finito per sempre a soli ventitré anni per l’avidità di sua madre che lo aveva spinto a fare scelte sbagliate. Arrivarono in un cortile interno, dove su un palco due uomini, con il volto nascosto da un cappuccio nero, lo attendevano, uno di essi era appoggiato al manico di una grossa ascia ricurva che alla luce dell’alba mandava sinistri riflessi. Un frate gli si fece incontro con un crocefisso che egli baciò devotamente, poi uno degli incappucciati lo fece inginocchiare con fermezza, ma senza brutalità, facendogli appoggiare la testa su di un ceppo. Egli pensò che stranamente quel legno odorava di pino, e per un secondo ripensò alla giovane sposa in quella pinet.....
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