Fivizzano
Come raggiungerlo
uscita casello autostradale di Aulla e proseguire per Pallerone statale n° 63 fino a Fivizzano
Fivizzano si trova a 326 metri di altezza, sulle pendici sud-occidentali dell' Appennino-tosco-emiliano, sulla strada che conduce al passo del Cerreto, e attraverso la Foce dei Carpinelli, collega la valle dell'Aulella con la Garfagnana. Il centro sorge su una collina che sovrasta la valle del fiume Rosaro in posizione verso la Lunigiana orientale. Il territorio comunale si estende dal passo del Cerreto alle vette apuane del monte Sagro, ed è il Comune più esteso, nella Lunigiana orientale, di tutta la provincia.
Il nome Fivizzano pare derivi dall’antico nome Filii Vezzano , od anche dal nome proprio di persona “Flavidius”, al quale venne successivamente aggiunto il suffisso “anus” indicante appartenenza. Fino a tutto il 1300 il centro abitato apparteneva alla Verruccola dei Bosi, feudatari degli Estensi. Nome che si riferisce al vicino Castello o Fortezza della Verrucola.
Le origini risalgono ad un piccolo insediamento ligure-etrusco che sopravvisse alle invasioni sannitiche e che successivamente si unì ad una colonia romana, dominato in seguito da Principi e Marchesi che creano così un importante feudo.
Il territorio di questo comune fece parte per un periodo dei domini di Spinetta Malaspina, ed esercitarono il loro potere fino al 1316, quando si dovettero arrendere a Castruccio Castracani nel 1317 per poi passare intorno al XV secolo sotto il dominio dei fiorentini. Ma nel 1404 i Malaspina riuscirono a riprendere il controllo del borgo.
Fu conquistata dai Visconti di Milano nel 1430 ed a seguito del passaggio delle truppe di Carlo VIII° di Francia, poi con gli spagnoli, nel 1494 che causarono ingenti devastazione a tutto il territorio. Alla fine del XV secolo nel 1478 venne conquistato dalla Repubblica di Firenze, che la tenne come residenza per la bella stagione.
Dopo un periodo di pace la città subì tra la fine del '400 e gli inizi del '500 ancora saccheggi e devastazioni.
Nel 1471 il prototipografo Jacopo da Fivizzano stampava con caratteri mobili i primi volumi, dichiarando Fivizzano come “Città della Stampa”: esiste infatti il Museo della Stampa, in via Roma, recuperato da un illustre medico e scrittore fivizzanese, Loris Jacopo Bononi con Eugenio Bonomi, ed ospiterà il Museo della Stampa, per ricordare che Fivizzano è stata una delle capitali di quell'arte, e
sempre a Fivizzano appare per la prima volta la carta carbone, elemento indispensabile nel lavoro, specie burocratico, oggi tale carta quasi totalmente fuori uso, con l’utilizzo di computer e fotocopie. Qui Jacopo da Fivizzano aprì una delle prime stamperie d'Italia, qui fu ideata e utilizzata la prima macchina da scrivere.
Le mura della città volute da Cosimo I° de’ Medici, ed iniziate nel 1478 sino al 1548, ed intraprese sin dal 1540 la restaurazione delle antiche fortificazioni, mentre la famosa Fontana nella piazza Medicea fu fatta installare da Cosimo III° nel 1638, lasciando quindi in secondo piano il ruolo militare del borgo. Comunque durante la dominazione i Granduchi si adoperarono anche nella ristrutturazione degli antichi edifici cittadini e nella costruzione di palazzi nobiliari e ville sfarzose che tutt’oggi si possono ammirare, tanto da divenire nel 1633 la sede del governatorato della Lunigiana. La cinta muraria fu poi demolita nel 1835 e restarono in piedi solo pochi ruderi, ma successivamente provvide il terremoto del 1920 ad abbatterle.
Quindi subentrarono i Duchi di Lorena e Fivizzano fu unita con Pontremoli amministrativamente. Poté riacquistare la sua autonomia solo dopo l’Unità d’Italia, nel 1861 ad opera di Re Vittorio Emanuele II° di Savoia.
Solo alla metà del 1700 col passaggio sotto i Lorena, (che allora si trovava sotto il governo dei Granduchi de' Medici), Leopoldo II° d’Asburgo, nel 1849 elevò Fivizzano a “Città Nobile” dove troviamo i palazzi rinascimentali, Palazzo Benedetti-Chigi, Palazzo Cojari, Palazzo Fantoni, Convento degli Agostiniani in via Umberto, Oratorio di San Carlo con la tomba del poeta Giovanni Fantoni, detto Labindo. Quando Fivizzano si trovava sotto il governo dei Granduchi de’ Medici, la dichiararono “Capoluogo di Vicaria” col titolo di “Capitanato” direttamente dipendente da Firenze.
Dopo la breve dominazione francese del periodo napoleonico, tutta la zona passò ai granduchi di Firenze e Modena, che ne mantennero il controllo fino all'Unità d'Italia, quasi baluardo di sicurezza con le sue mura ed i suoi castelli.
Avvenimenti fra i più tremendi, ricordiamo il terremoto del 1920, il 7 settembre, con un violentissimo sisma di magnitudo 6.4 sulla scala Richter, con devastazioni riconducibili al 10° grado della scala Mercalli, che causò oltre trecento morti e molti feriti, riportarono lacerazioni e squarci talmente profondi che alla successiva scossa, nonostante leggera quanto a intensità, quello che era miracolosamente rimasto, cadde al suolo definitivamente, mentre la popolazione rimase sconvolta, accampata in tende di fortuna. Poi nell’estate del 1944 le stragi compiute dai nazifascisti, con gli eccidi di Vinca (24-25-26 agosto), San Terenzo Monti e Bardine di San Terenzo (19 agosto), Mommio (5 maggio), Tenerano (18 settembre), e in molte altre vicinanze. Il gonfalone del Comune è decorato con medaglia d’argento al valor militare e medaglia d’oro al valor civile. Il Tribunale di Roma ha inflitto condanne all’ergastolo a nove SS, per le loro responsabilità in queste stragi. Stabilì anche che la Germania dovrà risarcire i familiari delle vittime. Questo processo è stato avviato in conseguenza del ritrovamento del cosiddetto “armadio della vergogna” ampiamente spiegato in trecento pagine dall’autore, il giornalista Franco Giustolisi, nel 2004. Oggi è una ridente cittadina di villeggiatura, in parte ricostruita in stile moderno, La grande Piazza Medicea, è ancora oggi il centro della vita fivizzanese, con la chiesa prepositurale restaurata.
La chiesa di Sant’Antonio e San Giacomo, detto anche Jacopo, è stata eretta nel 1377 da Cosimo III° de Medici e ampliata nel 1576, quando i fivizzanesi ricevettero il permesso dal Vescovo di Luni, ed erigerla all’interno del borgo, invertendo l’orientamento della facciata originaria, ricostruita a tre navate con 10 archi e 12 colonne, rifacendo il tetto che in origine era ad arco ovvero a botte, innalzato piatto con formelle quadrate in cemento colorato, affinché si affacciasse sulla piazza Medicea, con all’interno altari secenteschi. Ben 7 altari più il Maggiore, di cui tre in marmi bianchi e colorati e due con preziosi tabernacoli artistici e molto belli: (guardando l’altare maggiore, due sul lato sinistro ed uno sul destro, il Maggiore al centro. Quello sul lato sinistro, a fianco del Maggiore è dedicato alla Madonna del Carmine (con bel tabernacolo e due colonne in marmo paonazzo), quello precedente è dedicato alla Madonna del Rosario (con due colonne in marmo nero), quello di fronte sul lato destro, dedicato a Santa Lucia (questo ultimo senza tabernacolo).
Gli altri altari, uno a sinistra e tre a destra, tutti e quattro senza tabernacoli, in arenaria grigia leggermente lavorata.
Dietro l’altare Maggiore, nel coro, stalli in legno di noce lavorato, molto belli, ma in un angusto spazio, realizzati da Pisanino e da Angelo di Fazzano nel 1675. C’è anche una lunetta con Pietà del XVI secolo e due tavole cinquecentesche. Al centro, rialzato, in marmo San Sebastiano con pitture tra cui San Rocco di Pierfrancesco Foschi.
L'accesso, come precisato sopra, si trovava però in posizione opposta rispetto all'attuale. Superato l’ingresso nella Chiesa, proprio di fianco all’artistica fonte battesimale in marmo bianco e colorato, c’è un richiamo all’attenzione con una grande foto giovanile della beata Anna Maria Adorni, nata a Fivizzano, 19 giugno 1805, deceduta a Parma, il 7 febbraio 1893. Il 23 giugno 1803 ricevette il battesimo proprio in questa Chiesa, e si può vedere l’attestato alla beatificazione del 15 dicembre 1977. Fu dichiarata Venerabile, da Papa Paolo VI°, officiata il 27 marzo 2010, dal Santo Padre Benedetto XVI che un suo rappresentante ha portato firmato il Decreto per la Beatificazione di Anna Maria Adorni, nel Duomo di Parma, (dopo la morte del marito nel 1844, la vedova Carolina Botti, come veniva chiamata), fondatrice della congregazione delle Ancelle dell’Immacolata di Parma, con l’approvazione del miracolo avvenuto per sua intercessione (la guarigione dall'encefalite letargica del settantaduenne di Brugnera, Giuseppe Buttignol). La bellissima celebrazione della Beatificazione si è svolta a Fivizzano il 3 ottobre 2010
La città il 9 novembre 2010 ha voluto ricordare questa sua figlia con una festa per la deposizione di una sua statua. Al mattino la santa Messa fu presieduta dal Vescovo emerito mons. Eugenio Binini e concelebrata da tanti sacerdoti venuti da diversi parti, anche da Parma. Questo solenne momento fu preceduto da una intensa preparazione, organizzata dal novello parroco di Fivizzano, Mons. Bernardo Marovelli, iniziata nel pomeriggio di giovedì 4 novembre, alla quale parteciparono anche un gruppo di Ancelle, insieme alla Madre Generale, Suor Maria Assunta. Esse erano venute da Parma per consegnare la reliquia della Beata Anna Maria Adorni.
Dopo la bellissima celebrazione della Beatificazione del 3 ottobre 2010, di Anna Maria Adorni, Fivizzano suo paese natale, realizzò tramite lo scultore Marco Devoti, carrarese, la splendida opera d’arte esposta nella piazza XX Settembre. Prima della benedizione finale, tutti i fedeli, insieme ai concelebranti partirono quindi in processione con la reliquia della Beata, da Piazza Medicea verso la Piazza XX Settembre. La splendida opera d’arte ci attendeva, scolpita con le braccia aperte. «Ho voluto rappresentare i simboli che hanno contraddistinto l’opera di Anna Maria Adorni – svela l’artista – con il rosario che cinge la vita e il crocefisso scolpito nella mano destra, perché veniva chiamata infatti “crocefisso vivente”, e ai piedi ho realizzato dei simboli che rappresentano gli ostacoli sia fisici che morali che hanno contraddistinto il cammino di Madre Adorni». Fu proprio monsignor Binini a volere, oltre dieci anni fa, il gemellaggio con il Santuario della Madonna delle Ghiaie di Reggio Emilia.
All'interno, da segnalare la cappella del Sacro Cuore, la cappella del Carmine e vari dipinti come la “Deposizione” della scuola di Andrea del Sarto o la famosa “Madonna del Reggio” che ritrae l'apparizione di Maria nel vicino paese di Caugliano nel 1595. Questo Santuario necessita di un proprio riferimento, infatti questa Venerata Madonna ha una sua storia particolare, e proviene da Reggio Emilia: in questa “perla sperduta tra i monti” fiorisce fin dal 1596 una grande devozione alla Madonna, radicata nel Santuario della Madonna dell’Adorazione, al quale accorrono le popolazioni della Lunigiana. Un’umile donna di nome Margherita, detta Caugliana dal paese d’origine del marito, vive la sua vita semplice e ordinaria di mamma di famiglia e di sposa, quando improvvisamente si ammala. Le cure non approdano a nulla. Dopo diciotto anni di questa infermità e solitudine, giunge alle orecchie di Margherita la notizia che a Reggio Emilia, in una località deserta, chiamata “La Ghiara”, si venera un’Immagine della Madonna che dispensa grazie e favori straordinari, ed è certa che la Madonna farà anche a lei la grazia. In questo stato d’animo, un giorno sente chiedere permesso e vede aprirsi la porta; è Nicola Vaseschi, vicino di casa ed amico, che dovendosi recare per affari a Reggio, è passato a chiedere, per cortesia più che per convinzione, se Margherita abbia bisogno di qualche cosa. L’inferma vede in questa visita l’ispirazione del cielo, e subito risponde. «Di una gran cosa, che vi recherà poco fastidio. Portatemi un’Immagine della Madonna della Ghiara». Non dice altro, ma si raccomanda che Nicola non se ne dimentichi, e vive nella speranza. «Vi pare, Margherita! – risponde Nicola – Fate conto di avere già l’Immagine con voi».
Qualche giorno dopo, precisamente il 5 maggio 1596, Vaseschi ritorna, e Margherita per prima cosa gli chiede: «E l’Immagine?». Dall’ansia dell’ inferma, il povero uomo comprende la gravità della sua dimenticanza, e confuso, a testa bassa risponde con un fil di voce «Margherita, mi sono dimenticato!». L’inferma, nell’impeto del desiderio, con un gesto di invocazione, volge lo sguardo al cielo. Meraviglia! Alla trave del soffitto compare l’Immagine della Madonna, piuttosto grande, e tanto desiderata: è la Madonna della Ghiara, dolce e soave nell’atto di adorare il Figlio. Margherita lancia un grido e sente una vitalità nuova nelle sue membra. Si fa portare le vesti, si precipita dal letto ed in ginocchio, con le braccia protese verso l’Immagine, esclama: «Sono guarita, sono guarita!». Dopo diciotto anni di immobilità e di malattia, ora è fuori dal letto, sana e in forze, davanti all’Immagine miracolosamente apparsa. La devozione popolare alla Madonna si diffuse quindi in un baleno in tutte le famiglie della zona che non mancano ancora oggi di appendere all’interno delle loro abitazione almeno una immagine della Vergine.
“La miracolosa Immagine”
Nel 1569 un devoto cittadino reggiano, Ludovico Pratissoli, fece eseguire dal celebre pittore Lelio Orsi un disegno raffigurante la Beata Vergine con il Bambino. Infatti sul muro di cinta dell’orto dei Padri Servi di Maria, presenti a Reggio Emilia sin dal 1313, era un’antica immagine - ormai divenuta illeggibile - raffigurante la Beata Vergine.
Nel 1573 lo stesso Pratissoli incaricava il pittore reggiano Giovanni Bianchi, detto il Bertone, di tradurre in affresco il disegno dell’Orsi sul Cantone de’ Servi, cioè sul muro dell’orto. Oggi una memoria marmorea ricorda il luogo ove era ubicato il dipinto, essendo questo stato solennemente traslato nella chiesa. Nel 1595 Giulia Tagliavini otteneva la custodia dell’Immagine divenuta meta frequente di devoti; nel frattempo era stata resecata dal muro e portata entro una piccola cappella edificata con le offerte dei fedeli.
Sopra l’altare maggiore un grande tabernacolo, del 1946, contenente la stilografia del 1596 della Venerata Madonna e Beata Vergine dell’Adorazione.
Nel presbiterio balaustra in marmo bianco e grigio donata da Caroli ex Onorato Pigoni nel 1896, con leggio in marmo bianco statuario, probabilmente di Carrara. Pavimento di tutta la chiesa in brecce di marmo vario. Un bel pulpito, non più in uso, in marmo bianco e rosa scuro a cui è stata tolta la scaletta per raggiungerlo.
La chiesa ha una porta, al termine della navata sinistra, che conduce al “Museo Parrocchiale”, ma non è stato possibile accedervi.
Possiede due belle acquasantiere in marmo bianco, antiche, una più grande dell’altra, due confessionali in legno antico, sei porte oltre a quella dell’ingresso principale, in legni pregiati.
La colonna abbattuta (con resti presenti nel Museo), è il simbolo della fine della Chiesa di San Giovanni Battista. Il terremoto poi del 7 settembre 1920 e l’incomprensibile successiva demolizione totale, ne decretarono la fine, così quella Chiesa innalzata nel 1335, da uno dei fondatori di Fivizzano, il notaio ser Puccio di Duccio della Verrucola Bosi, su un’altra ricordata già nel 1321, nella fase di espansione mercantile e civile dell’abitato, fu cancellata. Oggi rivive in questo Museo che è dedicato alla gente di Fivizzano (resti da vedersi, celati sotto il pavimento calpestabile ricoperto con lastre di cristallo) e sovrastante un bel grande quadro dell’Ultima Cena cristiana. Museo ricco di cimeli religiosi e ben inseriti in teche illuminate, con in fondo al locale un altare in marmo, prevedibilmente di Carrara, arredato di sacri oggetti e probabilmente funzionante. Nel complesso degli Agostiniani, si inserisce la Biblioteca cittadina, con raccolte importanti opere d'arte provenienti dalla chiesa di Fivizzano, dove ai primi di giugno, nei suoi corridoi ed in alcune stanze, si svolge la manifestazione “Sapori”, che attira molta gente e partecipanti da tutte le province limitrofe, ed anche espositori e turisti da tutta Italia.
Nel trecentesco convento di S. Giovanni degli Agostiniani, collocato al centro della città storica di Fivizzano, è aperto un ostello, ristrutturato durante il grande Giubileo del 2000.
Applicato sulla facciata del Museo il monumento di Papa Niccolò V° (Tommaso Parentucelli, (Sarzana, 15 novembre 1397 – Roma, 24 marzo 1455, fu il 208º papa della Chiesa cattolica, che creò in Vaticano la famosa Biblioteca), il padre medico sarzanese e madre fivizzanese (Andreola Bosi della Verrucola ), fu responsabile del Concordato di Vienna, o Aschaffenburg (17 febbraio 1448), con l'imperatore Federico III del Sacro Romano Impero. Nel seicentesimo anniversario della nascita, il Comune di Fivizzano pose 1397-1997. Oggi si tengono, nel salone, anche riunioni comunali e private con regolare autorizzazione.
L'oratorio di San Carlo (più propriamente oratorio di San Carlo Borromeo) è un edificio sacro che si trova nei pressi della Porta Sarzanese.
L'oratorio fu edificato nel 1702 da Carlo Vieri, governatore di Lunigiana, e residente a Fivizzano dal 1702 al 1722 come riporta un’iscrizione sul portale barocco "CAROLUS VIERI GUBERNATOR/AD COMODU(M) CARCERATORU(M) CONSTRUENDA / CURAVIT A.D.1706".
Inizialmente venne chiamato “delle Carceri”, perché eretto vicino alle prigioni che allora lì si trovavano. L'oratorio era originariamente munito di campanile, andato distrutto nel terremoto del 1920. La facciata ad intonaco è delimitata da paraste in pietra e dal portale barocco in pietra arenaria, terminante in due volute che formano un'apertura ovoidale sormontata da una finestra. All'interno, l'altare regge una pala ovale attribuita a Ottavio Dandini che raffigura la "SS. Annunziata tra Carlo Borromeo e Sant'Antonio da Padova".
L'altare è decorato con stucchi e con l'immagine della Santissima Annunziata e i Santi Carlo Borromeo e Antonio da Padova. Le pareti e la volta sono decorate da raffigurazioni della Natività, della Nascita di Maria e di Profeti. Interessante è la tomba posta al centro dell'oratorio dove riposano le spoglie del poeta fivizzanese, qui collocate nel 1955, Giovanni Fantoni, detto “Libindo”, a cui e dedicata la piazza antistante.
Adotta un Monumento: L'iniziativa ha lo scopo di attivare un percorso civico e virtuoso per far si che cittadini, ditte, associazioni possano concretamente intervenire nel restauro/recupero del Monumento a Giovanni Fantoni di Piazza Labindo. Coloro che svolgeranno l'intervento avranno la possibilità di usufruire delle agevolazioni fiscali in vigore.
E’ detto anche "Castello dei Malaspina" perché eretto da Spinetta Malaspina il Grande, questa antica fortezza risale al medioevo, proprio con elementi di “castrum medievale”. Le prime notizie risalgono al XII° secolo, provvista con tutti i sistemi di fortificazione relativi all’organizzazione militare feudale: nelle mura sono incluse la corte, la cappella, più torri che rappresentano diverse signorie del castello. Come viene specificato, il toponimo Verrucola deriva dal nome di una famiglia, i Bosi, che detiene la proprietà dell’insediamento.
Questa signoria, per la posizione dominante sul percorso transappeninico, viene contesa tra diverse forze: l’antica signoria dei Bosi, i Dallo, i nobili di Castel Adinolfi di Montignoso, i Lucchesi, i Malaspina di Fosdinovo, si combattono tra loro per assumerne il dominio. Proprio questi ultimi rivendicano privilegi imperiali, ma avranno il dominio solo dopo oltre un secolo. Proprio Spinetta Malaspina diviene unico signore nel 1340, assegnandola per testamento al figlio Isnardo II°, che perderà la proprietà ad opera dei marchesi di Castel dell’Aquila, (frazione del comune di Montecastrilli, in provincia di Terni), loro congiunti. Saranno i fiorentini a ridare all’unico scampato Spinetta Malaspina la Verrucola, che riperderanno nel 1437 ad opera di Niccolò Piccinino per conto del ducato di Milano e nel 1450 del marchese Jacopo di Fosdinovo. Spinetta Malaspina, prima di morire, lascia con testamento il feudo alla Repubblica Fiorentina. Nel 1481 un terremoto danneggia la struttura, che verrà parzialmente recuperata dal monaco Alessio Casani e nel XVI° secolo verrà destinata a monastero con suore agostiniane. Solo nel 1977 lo scultore Pietro Cascella (Pescara, 2 febbraio 1921 – Pietrasanta, 18 maggio 2008), assieme alla moglie Cordelia von den Steinen, svizzera, conosciuta a Carrara nel 1966, ed assieme al figlio Jacopo, nato nel 1972, lo recuperano, destinandolo alla loro fissa dimora.
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Lucio Benassi
Carrara, 10 giugno 2013
BIBLIOGRAFIA :
1) - Don Mario Morra SDB (tratto dalla rivista “Maria Ausiliatrice” del santuario omonimo di Torino) : Immagine interna della Chiesa di San Giacomo e Sant’Antonio di Fivizzano. 2) - Anonimo, Istoria della miracolosa Immagine di Maria Santissima che sotto il titolo dell’Adorazione si venera nella chiesa dell’insigne Prepositura di Fivizzano di cui è la Patrona principale (Parma, Carmignani 1802)
3) - Ezio Pandiani, La miracolosa apparizione. Storia della prodigiosa Immagine della Beata Vergine dell’Adorazione (Fivizzano, Conti 1966) 4) - http://it.wikipedia.org/wiki/Fivizzano
5) - http://it.wikipedia.org/wiki/Tempio_della_Beata_Vergine_della_Ghiara
6) - http://www.fivizzano.it/index.html
7) - http://www.terredilunigiana.com/fivizzano.php
8) - http://toscana.indettaglio.it/ita/comuni/ms/fivizzano/fivizzano.html
9) - http://it.wikipedia.org/wiki/Fortezza_della_Verrucola
10) - http://it.wikipedia.org/wiki/Anna_Maria_Adorni
11) - http://ancelleparma.wordpress.com/2010/11/09/verso-fivizzano-paese-natale- di-anna-maria/